PIANETA SCUOLA
I ragazzi dell'ITET 'G. Salvemini': 'Fotoreporter a scuola'
Doppio incontro con il fotoreporter Manoocher Deghati, professionista irano-francese, e Nicolai Ciannamea fotoreporter pugliese, che hanno dialogato con agli studenti del Salvemini
Fasano - Dalle 8,30 di ieri, lunedì 25 gennaio, i ragazzi dell'ITET “G. Salvemini” sono stati coinvolti nel progetto “Dalle periferie del mondo alle periferie delle città”; gli alunni sono stati intrattenuti dalla soave voce de Manoocher Deghati, illustre fotoreporter irano-francese, oggi residente nella nostra Puglia.
Con il suo melodioso accento e la pacatezza che solo i grandi possiedono, ha cominciato a parlare della sua formazione, dei suoi viaggi, dei suoi incontri e a raccontare le storie di popoli vicini e lontani, ripercorrendo in sole due ore, la storia dal secondo Novecento a oggi, con la forza e la suggestione dei suoi scatti.
Il suo obiettivo è stato ed è raccontare delle storie per dare luce e parlare di questioni che non tutti hanno la possibilità di vedere e migliorare la vita di persone che non hanno gli strumenti per farlo. Scrive con la luce Manoocher, con un linguaggio universale che dura nel tempo e che nessuno può negare, poiché resta lì a documentare ciò che è accaduto in una lingua che tutti comprendono: la fotografia.
Il viaggio compiuto con lui ha documentato la vita di città e di campagna in Iran, la sua terra di origine, attraverso il contrasto tra le tradizioni religiose e la trasformazione di quella terra con l'economia del petrolio, le donne e i bambini in fabbrica, la brutale guerra Iran-Iraq, il sacerdote mussulmano con il fucile, i ragazzi uccisi senza giusto processo, ragazzi soldato, le immagini di una propaganda inutile, il suo esilio.
Il suo racconto e le sue immagini hanno cambiato colore con il passaggio nelle terre centro America: Costa Rica, Nicaragua, Guatemala. Gli scatti parlano di guerre civili e di ingiustizie sociali. Qui il fotoreporter tratteggia la necessità saper stabilire delle relazioni con coloro si fotografa: bisogna raccontare storie per incolpare la società e non i soggetti fotografati, vittime dello stesso sistema. “Più informazioni dà una foto, più riesce a parlare” e a veicolare un messaggio che la rende unica e carica di significati profondi.
«Le relazioni sono importanti - dice Manoocher - sia con la gente più umile che con i potenti del mondo». Tante foto lo ritraggono con capi di stato internazionali di grande rilievo. In tutti i luoghi che ha visitato ha lasciato una parte di sé e delle amicizie sulle quali sa di poter contare.
I suoi racconti continuano mentre commenta i suoi scatti e si passa dalla guerra del Golfo, alla Bosnia, al Sudan, alla Libia, alla Palestina, all'Afganistan. Scatti di navi di guerra sulla sabbia, basi aeree americane, carri armati, gente in fila per la razione di cibo, e ancora bambini soldato, musei in fiamme, profughi di guerra, feroce propaganda.
Dopo essere stato ferito da un israelita, costretto per un anno al fermo, racconta con i suoi scatti degli ospiti dell'Hôtel des Invalides, veterani di guerra, spesso con gravi mutilazioni.
E qui si sofferma sull'idea che dietro ogni luogo c'è una storia e che nell'unico selfie della sua vita c'è il racconto dei tanti veterani a Lourdes. Tecnica, narrazione e umanità si fondono e si confondono nell'emozione di uno scatto.
Infine la sua fotografia per National Geographic in Siria, in Turchia, in Sudan alla ricerca dei faraoni neri.
La foto è stupenda. «Ho camminato tanto per vederla - dice - . Un secondo dopo quel gioco di ombra non ci sarebbe stato più. Dopo un minuto l'ombra cambia».
L'incontro si conclude con un augurio. Manoocher Deghati invita tutti i ragazzi a camminare tanto, alla ricerca del proprio scatto che sarà visibile, anche ai loro occhi solo un secondo.
Ecco alcuni commenti a caldo dei ragazzi dopo l'incontro.
Margherita dice: «i suoi racconti e le sue fotografie mi hanno dato modo di essere in quei posti». Giovanna: «il suo obiettivo è far parlare le immagini e far capire il racconto della storia di quella gente». Alena si è sentita partecipe della storia. Marina ha i brividi per il contrasto tra la guerra e la normalità. Gianleo e Luca hanno colto che la bellezza di una fotografia non è data dalla macchina fotografica, bensì da colui che la scatta, il vero valore di una creazione è dato da chi la crea. Asia e Alessandra hanno inciso nella sua mente ogni parola. Federica ne ha colto la profonda umanità e il valore della relazione umana. Michelangelo ha capito cosa significa "credere in ciò che si fa", credere nel proprio lavoro.
Ma a partire dalle 11,00 è intervenuto un altro illustre ospite, Nicolai Ciannamea fotoreporter pugliese che ha vissuto e ragionato per immagini. Il suo intervento è partito dalla foto del bambino del Ghetto di Varsavia, per poi avviare una ricostruzione fotografica e audiovisiva della immagine fotografica per raccontare della storia e delle storie in modo diverso alterando spesso la realtà.
Di certo incontri così segnano e insegnano soprattutto in un mondo digitale in piena ipertrofia di immagini. Il messaggio resta chiaro: la capacità di produrre criticamente fotografia può salvarci dalle dittature culturali.
I ragazzi avranno modo di incontrare nuovamente i fotoreporter il 15 febbraio prossimo con una nuova attività di formazione.
di Redazione
26/01/2021 alle 06:10:37
Leggi anche:
Taglio su misura + piega gloss a soli € 20
Eligio Parrucchieri ti invita a conoscere i suoi prodotti.
Stazione di servizio Q8 Cacucci
Carburanti e servizi
Efficienza e puntualità nei servizi e prodotti offerti alla clientela